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Fantasy Kit Design – Stati Uniti
A meno tre Fantasy Kit dalla conclusione del contest dedicato ai Mondiali, andiamo in Nord America. Scopriamo il Kit Design realizzato per gli
STATI UNITI
E’ quasi impossibile trovare un unico filo conduttore per la maglia degli USA. Nel corso degli anni hanno avuto maglie a strisce verticali, strisce orizzontali, tinta unica e fantasie assurde. Il tutto in ordine piuttosto causale, senza poter determinare un chiaro punto nella storia da cui prendere ispirazione.
Ecco che, da controaltare, si ha accesso alla libera ispirazione, senza canoni da rispettare. Ed è da qui che prende piede l’idea di realizzare una maglia con banda diagonale che potesse essere arricchita da altri elementi. Il template compatto della Umbro ha fatto al caso mio, con la sua banda diagonale che, invece di finire sul fondo, va ad “incastrarsi” sul fianco.
Su sfondo bianco si staglia quindi una fascia blu chiaro, calcata da un disegno “a stelle e strisce” in tutti i sensi, che conferisce identità alla divisa. Colletto e bordomanica bianchi rifiniti di blu, con unico tocco di rosso destinato al logo Umbro. A dare al tutto un ulteriore tocco di americanità ecco, all’interno del colletto, la scritta “Don’t tread on me” ed il serpente, carattesistici di una delle primissime bandiere statunitensi.
Voi che ne pensate di questa maglia?
Fantasy Kit Design – Iran
Prosegue il cammino del torneo di Fantasy Kit sulle maglie delle Nazionali partecipanti a Brasile 2014. Il Kit Design che andremo ad analizzare oggi è quello del
IRAN
Credo che la stragrande maggioranza di voi si stiano facendo la stessa domanda in questo momento: come cavolo è possibile immaginare una maglia interessante e significativa per una nazionale come l’Iran? In effetti non è stato semplice, considerando che l’unico appiglio è la formazione che nel 1978 conquistò il primo pass per partecipare ai Mondiali.
In virtù di questo, ho preferito procedere a modo mio. Negli anni la formazione iraniana ha sempre optato per il bianco come colore principale, alternando rosso e verde come colore di contorno, oppure abbinandoli. La mia scelta è ricaduta su quest’ultima, puntando su un template Adidas per assicurare quanto meno una certo equilibrio tra colore primario e i secondari.
Ho privilegiato il verde, dando anche al corpo della maglia una trama con una sottile palatura orizzontale che dà più volume alla divisa. Per i dettagli più importanti ho puntato tutto sull’interno del colletto, con una grafica ampia ed un’iscrizione nel risvolto dello stesso.
Voi che ne pensate di questa maglia?
Vynil Sellout – Settembre 2014
Ha inizio con oggi il nuovo corso di questo blog.
Come il TARDIS “vero”, da fuori manterrà lo stesso aspetto, mentre dentro farò un pò di arredo. Togliere le ragnatele dai muri, riverniciare un pò, spostare qualche mobile e il gioco è fatto.
Eccoci qua quindi, in questo nuovo spazio! Per la precisione, nel Vynil Sellout.
Un appuntamento fisso ogni ultima domenica del mese, dove presenterò tre canzoni di qualsiasi genere che voglio consigliarvi per i più svariati motivi: perchè sono straordinarie, perchè fanno parte di un progetto interessante, o perchè fanno talmente schifo che dovete sentirle per capire che non ascolterete mai niente peggio di quello.
Partiamo quindi con la prima tripletta!
1. The Trouble – Pogo
Cominciamo con il progetto di Pogo, deejay australiano che dal 2007 realizza dei “collage musicali”. Prende le traccie audio di film, telefilm, cartoni animati, così come voci e rumori che trova per strada, e le mette insieme su una base melodica per realizzare canzoni. E’ stato anche assoldato direttamente dalla Disney/Pixar per un progetto simile legato al film “Up“.
La canzone che voglio proporvi è un mix di diverti film della Disney: Peter Pan, Mary Poppins, Alice nel Paese delle Meraviglie, Aladdin e La Sirenetta, mescolate insieme per una canzone trasognata e rilassante.
2. Take Ü There – Jack Ü feat. Kiesza
Credo di poter dire che questa canzone “setta il trend” della musica elettronica. Per gli estranei dei linguaggi gergali dei quali spesso mi approprio senza le dovute precauzioni: questa canzone definisce in quale direzione evolverà la musica elettronica nei prossimi 6 mesi circa. E’ una mia opinione, ma validamente supportata da molti degli esperti del settore.
Jack Ü, nome d’arte dei due deejay e produttori di fama internazionale Diplo e Skrillex, hanno messo in piedi questa collaborazione e il primo prodotto è stato “Take Ü There“. All’inizio può sembrare una qualsiasi canzone elettronica, ma la contaminazione trap mette in risalto nuove sonorità che, inevitabilmente, influenzeranno e non poco la scena elettronica.
In più, Kiesza ha una voce della madonna.
3. Stay High (Habits Remix) – Tove Lo ft. Hippie Sabotage
Dal nome (o meglio, dalla lunghezza) può sembrare una di quelle tamarrate estive mezze latinoamericane. In realtà è tutt’altro, ma meglio andare in ordine.
L’estate 2014, checché ne dica Studio Aperto, è stata senza tormentone estivo. E dire che c’è stato pure i Mondiali di calcio Brasile, che di solito aiuta abbondantemente questa selezione naturale di brani orecchiabili e ballabili. E’ stata un’estate con molte canzone apprezzabili che si sono spartite equamente i passaggi radiofonici e nelle balere dello Stivale, e il bello di questo è che anche canzoni di tono minore hanno potuto facilmente farsi spazio e mettersi in luce.
Una di queste è appunto la canzone di Tove Lo, graziosa cantante svedese che ha pubblicato la canzone “Habits” nel 2013 e quest’anno è uscito il remix, sbarcato da noi giusto questa estate. Questo pezzo potrebbe essere considerato come un lento dei giorni nostri, che se lo metti in discoteca le coppiette rimangono sole al centro a ballare stretti stretti.
Ma al giorno d’oggi, poi, dove sono sparite le coppiette in discoteca? Questo è un problema che affronteremo un’altra volta…
Come giochiamo a calcio – Olanda
Continua il viaggio tra la storia e la cultura che hanno portato a caratterizzare lo stile di gioco di una nazionale. Superate Brasile, Inghilterra, Italia e Germania, la prossima nazionale presa in esame dall’articolo del New York Times in occasione dei Mondiali di Brasile 2014 è l’Olanda.

Johan Cruyff subisce fallo da un giocatore della Germania Ovest durante la finale di Coppa del Mondo del 1974. La Germania Ovest vinse la partita 2-1. (Allsport UK/Allsport)
Ancora definiti dal genio eccentrico di Cruyff
di Arthur van den Boogaard
tradotto da Stefano Acquafredda
“Il calcio è una forma d’arte. La scuola olandese è un termine collettivo per l’artista olandese“. Queste parole, che si trovano sul sito ufficiale dell’associazione allenatori olandesi, mostra il significato di calcio olandese in tutto il mondo. Foto di allenatori come Guus Hiddink, Frank de Boer e Ronald Koeman addocchiano i visitatori del sito, che senza il minimo accenno di ironia proclama: “I nostri allenatori sono dei Rembrandt moderni“.
Una dichiarazione impressionante. Ma cosa significa essere un Rembrandt moderno? E perché non un van Gogh contemporaneo? Un Piet Mondrian? Un Pieter Jansz Saenredam? O semplicemente un Johan Cruyff moderno?
Gli olandesi tendono a dividere la loro storia calcistica in due periodi – prima e dopo Cruyff. Il periodo P.C. (Prima di Cruyff) era chiaro, ordinario, giocavamo un calcio pragmatico. Con la nascita del grande Cruyff arrivò il Calcio Totale: un gioco emozionante, concentrata sull’attacco, con tutti i giocatori capaci di cambiare posizione e un occhio acuto per gli spazi aperti in campo. E’ stato Rinus Michels, l’allenatore dell’Ajax e della nazionale olandese alla Coppa del Mondo del 1974, l’architetto ispiratore del concetto di Calcio Totale. Ma fu Cruyff che portò il concetto ad un altro livello. Il gioco della squadra olandese consisteva in un caos ben organizzato. Cruyff, al suo epicentro, organizzava il gioco mentre controllava dall’alto che tutto andasse bene. Per dirla biblicamente, in campo lui era Dio e Gesù fusi in un unico giocatore.
Cruyff ha dato al gioco un aura di avanguardia in un momento in cui la società olandese stava subendo cambiamenti significativi. Cruyff, un giovane sfacciato di un quartiere operaio, giocò per l’Ajax Amsterdam nella città del movimento antiautoritario Provo. Andò contro la costituzione e non smise mai di cercare di cambiare le cose a suo favore. Anche se era in gran parte motivato dal denaro, era comunque una persona rivoluzionaria, un John Lennon olandese.
Il suo mantra era di rendere il campo di gioco grande quando avevi la palla e renderlo piccolo quando l’avversario ce l’aveva. L’autore britannico David Winner, nel suo libro “Brilliant Orange“, comparò Cruyff a Saenredam, pittore olandese del 17 ° secolo, famoso per la manipolazione dello spazio sulla tela.
Cruyff convinse la nazione che giocare un bel calcio è una cosa tipicamente olandese.
Abbiamo creato una consuetudine in questo modo. Ci sono alcuni prodotti olandesi che sono stati, diciamo, costituiti altrove. I tulipani originariamente provenivano dalla Turchia. Le ceramiche di delft erano un’alternativa economica alla porcellana cinese. La tradizionale bicicletta nera, un’estensione del corpo di ogni olandese, è stata inventata in Inghilterra come bicicletta da donna e divenne olandese solo perché non riuscimmo a tenere il passo con i nuovi design. Gli olandesi sono bravi a rendere qualcosa proprio e poi raccontare al resto del mondo che il loro è l’unico modo.
Arthur van den Boogaard ha recentemente terminato il suo libro “Zo Speelden Wij” (“This Is How We Played“), in cui ricostruisce 14 partite storiche della nazionale olandese per dimostrare che il modo in cui sono state giocate rispecchiano l’anima olandese.
Articoli precedenti:
#1 – Brasile
#2 – Inghilterra
#3 – Italia
#4 – Germania
Come giochiamo a calcio – Germania
Passata la metà degli articoli, iniziamo la parte in discesa di questa serie di articoli presi e tradotti dal New York Times. Il loro intento è di descrivere il gioco di sei nazionali che hanno partecipato ai Mondiali di Brasile 2014 attraverso la cultura, la politica e la storia di quei paesi.
Per il quarto articolo, è il turno dei freschi vincitori della Coppa del Mondo: la Germania.

Franz Beckenbauer segna in una partita contro la Svizzera nel 1966. La Germania Ovest vinse 5-0. (AP Photo)
Per la Germania, basta che funzioni
di Andrei S. Markovits
tradotto da Stefano Acquafredda
Questa è la concezione diffusa: i tedeschi hanno uno stile di gioco a regola d’arte, clinico ed efficace, così come uno spirito combattivo (chiamato Kampfgeist) e un orientamento di squadra. Tutto questo trionfa sempre sullo stile di gioco individuale. Quello che si vede in campo è analogo alla prodezza economica del Modell Deutschland, il sistema che ha fatto del paese il primo esportatore al mondo.
Ma se c’è una cosa che il mio impegno a vita con la Germania mi ha mostrato, è che il paese non ha caratteristiche nazionali significative. La nozione di un personaggio ben fatto è solo uno stereotipo; non è una spiegazione giusta per la cultura nazionale o uno stile di gioco di una squadra.
Per comprendere meglio la nazionale della Germania, guardate alla sua struttura e alle sue origini. Il team è stato chiamato a regola d’arte da quando ha giocato contro il Wunderteam austriaco negli anni ’30, e, più tardi, contro la famosa squadra nazionale ungherese conosciuta come i Magnifici Magiari. I sottovalutati tedeschi non avevano stelle – molto a regola d’arte da parte loro – ma riuscì comunque a sconfiggere la squadra ungherese nel Miracolo di Berna del 1954, la prima Coppa del Mondo vinta dalla Germania.
Si potrebbe appuntare a quella partita la fondazione della moderna Repubblica Federale Tedesca, l’entità solida ma decisamente poco sexy che ha prodotto il miracolo economico tedesco e trasformato un nano politico in un gigante economico stabile. La vittoria della squadra 1954 entrò a far parte dell’immagine del paese di affidabilità solida che è stata così ben accolta a livello nazionale ed internazionale dopo gli orrori incandescenti del nazionalsocialismo.
Lo stile di gioco della squadra aveva molto a che fare con il suo direttore, il famoso Sepp Herberger, che ha allenato la squadra dal 1936 al 1964 ed era conosciuto come Chef. Chef era un personaggio come Yogi Berra che non aveva pazienza per le stelle.
Ma nel 1966, la squadra tedesca aveva una stella emergente: Franz Beckenbauer, presto chiamato Kaiser. A lui si unì un gruppo di altri eccezionali giocatori come Wolfgang Overath, Gerd Müller e Günter Netzer che guidarono la nazionale al Campionato Europeo del 1972 e la Coppa del Mondo due anni dopo. Il calcio tedesco era tutto estro e brio, con po ‘di affidabile laboriosità del passato.
Dopo il Kaiser, la nazionale tedesca ha avuto giocatori come Jurgen Klinsmann che erano fantastici, ma non avevano l’estro del Kaiser. Ancora una volta, la squadra è stata descritta come clinica, efficace e, sì, a regola d’arte.
Quarant’anni dopo, quando Klinsmann ha allenato la squadra tedesca, la sua squadra ha giocato un gioco dei più offensivi che si siano mai visti. Lo stesso si potrebbe dire di quattro anni più tardi in Sud Africa, ma molti hanno attribuito il brio di quella squadra a giocatori come Mesut Ozil e Sami Khedira – in altre parole, a giocatori che alcuni dicono essere tedeschi di passaporto ma non di cultura.
Ozil ha detto spesso che le sue abilità combinano l’estro turco e la perseveranza tedesca, rendendo così evidente che anche i giocatori vedono il calcio globale attraverso una lente culturale.
Andrei S. Markovits è il Professore Collegiato Karl W. Deutsch di Politica comparata e studi tedeschi presso l’Università del Michigan. E’ l’autore di “Gaming the World: How Sports Are Reshaping Global Politics and Culture“.
Articoli precedenti:
#1 – Brasile
#2 – Inghilterra
#3 – Italia
Come giochiamo a calcio – Italia
Continua la traduzione dell’articolo pubblicato sul New York Times a proposito delle nazionali andate in scena ai Mondiali di Brasile 2014 e le origini del loro gioco.
Abbiamo visto il Brasile, abbiamo visto l’Inghilterra, ora è il nostro turno: scopriamo da dove nasce il gioco dell’Italia.

Fabio Cannavaro lotta con il francese Zinedine Zidane nella finale di Coppa del Mondo del 2006 in Germania. (Associated Press/Michael Probst)
Mai noiosa, sempre Bella
di Beppe Severgnini
tradotto da Stefano Acquafredda
Alcune persone fanno festa troppo presto. Ero in Brasile nella primavera del 2006, e il Brasile era in festa. La Coppa del Mondo in Germania stava per cominciare, e brasiliani, giustamente convinti di avere la squadra migliore, stavano già celebrando il loro trionfo. Ad un evento pubblico ho detto: “Calmatevi, per favore. Questa volta vincerà l’Italia“. Il pubblico ridacchiò, dicendo: “Andiamo. Il calcio italiano è nel bel mezzo del suo più grande scandalo di sempre. Due scudetti sono stati revocati. I giocatori sono sotto shock, ed i club sono in disgrazia!“. Ecco perché, dissi.
Va bene, sono stato fortunato. Ma c’era del metodo nella mia previsione. Quando gli azzurri sono in bilico e sentono di avere qualcosa da dimostrare, fanno centro. Quando è troppo facile, sono inutili. Le peggiori performance dell’Italia in Coppa del Mondo sono state precedute da grandi aspettative: in Germania nel 1974, dopo aver raggiunto la finale in Messico; in Messico nel 1986, dopo aver vinto in Spagna; in Corea del Sud e Giappone nel 2002, dopo aver fatto bene in Europa; e in Sud Africa 2010, dopo essere arrivati come campioni. Le migliori prestazioni italiane sono arrivate sulla scia della sconfitta, del disastro e dello scandalo.
Ecco perché le cose stanno andando bene per Brasile 2014. Il calcio italiano se la sta cavando male in Europa, ed i club sembrano essere alla mercé di teppismo e debiti complessi. Il pacato allenatore Cesare Prandelli ha dovuto ingoiare il suo orgoglio quando ha chiamato il difensore della Juventus Giorgio Chiellini, che è stato espulso per un brutto fallo contro la Roma. I puristi di calcio sono furiosi, Prandelli è infastidito, e le autorità sportive italiane sono imbarazzate. Fin qui tutto bene.
Nel calcio come nella vita, noi italiani tendiamo a fare meglio quando siamo spalle al muro. Per la maggior parte delle persone, quella non è una posizione particolarmente comoda. Ma a noi sembra andare bene così. In economia, politica e vita quotidiana, l’Italia ha bisogno di essere sofferente, e forse un po’ spaventata, per uscirne fuori. Negli ultimi tre anni e mezzo, abbiamo prodotto quattro primi ministri – l’ultimo uno senza esperienza di 39 anni – e le frustrazioni di un’angoscia economica. Dai un’occhiata ai notiziari britannici e americani in questo periodo, e li troverai pieni di titoli come “Euro Crisi” e “Italia sull’orlo del burrone!”.
Ma a noi piacciono gli orli. La vista è fantastica.
Ero in Colorado per il l’Aspen Ideas Festival nel giugno 2012. La crisi dell’euro era al suo apice, i capi di governo dell’Unione Europea si stavano radunando per un vertice d’emergenza a Bruxelles, e quella notte, l’Italia stava giocando contro la Germania nell’Europeo. Ero a un panel che era più o meno una discussione come un funerale per l’euro. Quando fu il mio turno di parlare, ho detto: “La Germania troverà un modo per risolvere la crisi dell’euro, e l’Italia troverà un modo per risolvere i tedeschi nel bellissimo gioco. Abbiamo entrambi troppo in gioco“. Ancora una volta, avevo ragione.
Io non sono un profeta. Solo conosco bene il mio paese. Essere italiani è un lavoro a tempo pieno, perché non dimentichiamo mai chi siamo – nella vita o sul campo – e ci piace confondere i nostri avversari. Lo stile di calcio italiano è elegante, seducente e imprevedibile. Germania, Inghilterra e Olanda possono avere un approccio più corri-a-perdifiato e macho, ma l’Italia è una “signora” che attrae e colpisce quando ti avvicini troppo. Il catenaccio – la catena e lucchetto – è una metafora sessuale, ovviamente difensiva, mentre un contropiede – l’improvviso contro attacco – è inevitabile quando la signora decide che ne ha avuto abbastanza dei vostri approcci maldestri.
Gli italiani adorano le apparenze, e qualche volta mettiamo l’estetica prima dell’etica, che può essere un problema. “La bella figura” – fare una buona impressione – è un concetto fondamentale per comprendere se si vuole avere controllo sull’Italia. “La Grande Bellezza” ha appena vinto l’Oscar per il miglior film straniero, e la bellezza è ciò che ci piace di mostrare in campo. Come un sacco di altre squadre, lo ammetto. Ma per la Germania, la bellezza è organizzazione. Per l’Inghilterra, è dedizione e ritmo di lavoro. Per il Brasile, la bellezza è una danza. Ma per noi e per l’Argentina – un’Italia al quadrato, se si guardano i loro nomi e volti! – la bellezza è velocità mozzafiato.
Gli Stati Uniti ci proveranno seriamente e faranno presumibilmente bene, come sempre. L’Italia potrebbe essere un finalista o lasciare il Brasile in disgrazia. Siate certi gli azzurri vi sorprenderanno o deluderanno tutti. Loro discuteranno – con la stampa, coi tifosi e l’un l’altro – fino alla partita inaugurale contro l’Inghilterra il 14 giugno a Manaus. Prevedibile è noioso; imprevisto è incredibile. La signora non vorrebbe farlo in nessun altro modo.
Beppe Severgnini è un colonnista del Corriere della Sera e autore di “La Bella Figura: A Field Guide to the Italian Mind“.
Articoli precedenti:
#1 – Brasile
#2 – Inghilterra
Come giochiamo a calcio – Inghilterra
Un paio di giorni fa ho dato il via a una serie di pubblicazioni riguardo un articolo trovato sul New York Times, con sei diversi scrittori che spiegavano, in occasione dei Mondiali di Brasile 2014, da dove nasce il gioco della squadra della loro nazionale.
Abbiamo cominciato con il Brasile, ora si vola verso la patria del calcio: l’Inghilterra.

Bobby Charlton segna contro il Portogallo durante la semifinale di Coppa del Mondo 1966. L’Inghilterra vinse l’incontro 2-1.(Central Press/Hulton Archive/Getty Images)
Un Impero del Calcio, profondamente confuso
di David Winner
tradotto da Stefano Acquafredda
Lo stile di gioco della nazionale di calcio inglese ricorda la la barzelletta inglese in cui passato (Past), presente (Present) e futuro (Future) entrano in un pub insieme: sono nervosi (tense; n.d.b.: humor inglese…).
E’ anche profondamente confuso. Come un ex capitano dell’Inghilterra mi ha messo recentemente a corrente: “Siamo sparpagliati ovunque. Qual è la filosofia di calcio inglese di questi tempi? Non abbiamo alcuna idea di quale dovrebbe essere il nostro sistema“.
Altre nazioni hanno sviluppato identità coerenti del calcio moderno. Ma la madre patria del gioco è incagliata tra allora e adesso. Cosa c’è avanti?
In questa Coppa del Mondo, l’allenatore dell’Inghilterra Roy Hodgson ha potuto seguire la maggior parte dei suoi predecessori e schierare il tradizionale e fallito approccio da bulldog, tutto sangue e fulmini, in uno scricchiolante e vecchio 4-4-2. In alternativa, potrebbe tentare di sfruttare il talento di una nuova generazione di giovani giocatori che sono cresciuti nell’innovativa ed esterofila Premier League.
Ferocemente competitivo e guidato dai soldi, il club di calcio inglese è cambiato in modo tale che la nazionale, ancora sotterrata dalla sua storia, non è ancora riuscita ad entrare in sintonia. Giovani brillanti, veloci e tecnici come Daniel Sturridge del Liverpool o Alex Oxlade-Chamberlain e Jack Wilshere dell’Arsenal sono attualmente ben allenati a giocare il calcio moderno al pari dei loro coetanei in Spagna o in Germania.
Ma avranno occasione di esprimersi così anche per l’Inghilterra?
Riflettendo l’incertezza di un paese in cui il partito anti-Europa UK Independence Party ha vinto recentemente le elezioni al Parlamento europeo, nessuno ne ha la più pallida idea. Per capire perché, dobbiamo guardare alla storia.
Il calcio è stato a lungo un bastione di una concezione peculiare del 19° secolo dell’essere inglesi che la nazione sembra riluttante a rinunciare. Il gioco è nato durante l’epoca dell’impero quando le scuole pubbliche d’elite del paese adattarono forme precedenti di un calcio popolare violento a scopi educativi.
Tipici giochi popolari rurali coinvolgevano centinaia di ubriachi dai villaggi rivali scatenati per le strade e i campi, cercando di guidare, per esempio, un barilotto di birra (l’antenato della palla) nella cripta di una chiesa (l’antenato del goal). Le scuole distillavano così rituali alimentati a testosterone in nuovi formati che coinvolgevano squadre meno numerose, ragazzi sobri e palle di cuoio fradicie. Codificato dalla Football Association e successivamente diffuso nel mondo, questo stile di calcio non è mai stato il cosiddetto bel gioco; lo scopo originario degli educatori era quello di infondere virtù virili e marziali nei futuri soldati e amministratori imperiali.
L’impero britannico è scomparso molto tempo fa, ma la sua eredità indugia, non da ultimo nelle radici dell’erba del calcio inglese dove lo spirito di squadra, il coraggio e la volontà di sopportare il dolore ancora contano più di abilità, intelligenza o creatività. L’archetipo dell’eroe inglese rimane il temerario personaggio dei cartoni animati Roy Race, meglio conosciuto come Roy of the Rovers: un attaccante che assomigliava a un guerriero, che era specializzato in “colpi di testa a proiettile” e tiri a “palla di cannone”.
Anche ora, la TV inglese e commentatori radiofonici parlano della stagione come una “campagna” e di attaccanti che “guidano la carica” come se il calcio fosse un gioco di guerra di epoca vittoriana.
Nel frattempo, nel resto del mondo, il calcio è cambiato profondamente, e abilità, intelligenza e creatività vengono riconosciute come prerequisiti per il successo. Dagli anni ’50 in poi, gli incontri con geni di calcio provenienti da altre terre hanno lasciato apparire quelli che furono i maestri inglesi del gioco come tori in carica disorientati dai movimenti di un mantello.
Proprio come l’adattamento alla loro diminuito status post-imperiale negli affari internazionali è stato una lotta, così gli inglesi stanno prendendo molto tempo per abbandonare la fantasia che, avendo loro inventato il gioco, dovrebbero ancora aspettarsi di vincere la Coppa del Mondo.
La verità – come tutti hanno notato altrove e molto tempo fa – è che la nazione è andata una volta sola oltre i quarti di finale di un grande torneo giocato all’estero (ha raggiunto le semifinali in Italia nel 1990).
La confusione, la delusione e la stucchevole nostalgia del calcio inglese sono diventate noiose. Il tempo per la nazionale di adottare un po’ di pudore e modernità – e di andare ad abbracciare il cambiamento – è atteso da tempo.
David Winner è l’autore di “Those Feet: A Sensual History of English Soccer” e “Brilliant Orange: The Neurotic Genius of Dutch Soccer“.
Articoli precedenti:
#1 – Brasile
Arsenal + Puma = Bocciatura totale
Quattro mesi fa parlavo della sciagurata scelta di Adidas per le maglie dei prossimi Mondiali di calcio.
Cambia marca, cambia competizione, ma la sensazione di disfatta e delusione rimane.
Profonda delusione per il lavoro della Puma con l’Arsenal.
All’annuncio dell’accordo avevo sperato che, date le cifre importanti (180 milioni di € in 5 anni), il marchio tedesco avrebbe abbandonato il suo solito modus operandi. Con le sue squadre di maggior profilo prepara, a suo dire, kit esclusivi e inediti alla presentazione, per poi riproporli nemmeno un mese dopo per tutte le altre squadre con un livello minore di sponsorizzazione. Se non ci credete, andate a vedere prima le nuove maglie dell’Italia e poi quelle preparate per i giapponesi del Jubilo Iwata. Notate delle somiglianze? E se vi dicessi che addirittura sono uscite prima quelle del Jubilo?
Speranza ovviamente vana la mia, perchè indiscrezioni e immagini uscite sule future maglie dei Gunners non fanno altro che confermare il classico modo di agire del brand felino.
Facciamo un’analisi di queste divise che, per quanto interessanti e piacevoli possano apparire, capirete presto essere semplicemente la brutta copia di qualcosa di già utilizzato. Come per Italia e Jubilo Iwata.
La maglia home è la classica divisa con corpo rosso e maniche bianche, arricchita da: bordomanica rotondeggiante rosso con striscia bianca, striscia rossa sulle spalle che spezza la continuità con le maniche, sponsor in bianco, riga bianca spezzata sui fianchi e lato bianco che prende posto anche nel fronte della maglia. Senza dubbio una maglia interessante, se non fosse che è esattamente lo stesso modello usato per le divise casalighe di Repubblica Ceca e Slovacchia. Per questa maglia si possono vedere anche i pantaloncini (bianchi con riga sottile bianca) e il calzettoni (a hoops biancorosse).
La maglia away torna a vestire di giallo il busto e di blu le maniche. Questa volta i dettagli sono il bordomanica rotondeggiante giallo con striscia rossa, riga rossa spezzata sui fianchi e sponsor in rosso. E anche qui il modello è esattamente ricalcato da uno già usato, quello per le divise da trasferta di Svizzera, Repubblica Ceca e Slovacchia. Per i pantaloncini si parla di blu con dettagli gialli.
Le indiscrezioni parlano anche di una terza maglia, che dovrebbe essere in due toni di blu con dettagli verde lime. Per una terza divisa sembra interessante, ma rimane comunque la speranza che almeno per questa venga elaborato un lavoro originale.
Per quanto mi riguarda, il disappunto è pressochè totale: per il tipo di contratto stipulato con l’Arsenal (così come meriterebbero Italia e Borussia Dortmund), la Puma dovrebbe realizzare modelli unici. E invece i Gunners si ritrovano con due modelli di maglie cosiddetti “da catalogo” e l’aggiunta di qualche particolare qua e là. E il mio dispiacere per l’abbandono della Nike non è minimamente mitigato.
Primo anno tra Arsenal e Puma: bocciatura totale.